Lesione lieve obbiettività medico legale o strumentale

Lesione lieve entità, obbiettività medico legale o              accertamento strumentale.

Lesione lieve entità.

Sentenza n. 2892/2016 pubbl. il 20/10/2016 RG n. 4173/2016 Repert. N. 5994/2016 del 21/10/2016

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE CIVILE DI PADOVA

Il Giudic  Dott. ……………………

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Nella causa civile iscritta al n. 4173/2016 R.G. promossa
Da A……………………….. (C.F. …………………………….)ASSICURAZIONE A……………………………….

(C.F. ………………………………..)
– appellanti –
elettivamente domiciliati in Padova, via A……… n. …., con il patrocinio dell’Avv. A……….., contro B…………………… (C.F. …………….)
– appellata –
elettivamente domiciliata in Padova, Vicolo B………. n. …, con il patrocinio dell’Avv. B……..

Oltre che delle spese di CTU, di CTP e di lite secondo i valori medi di cui allo scaglione di riferimento, maggiorate delle spese generali, di quelle esenti per euro 264,00 e degli accessori di legge).
Sicché hanno conclusivamente instato per la parziale riforma nel senso appena indicato della sentenza di primo grado, con susseguente compensazione delle spese di lite di primo grado.
Costituitasi in giudizio, la appellata ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello notando che in epoca successiva al deposito della sentenza di primo grado la compagnia assicuratrice le aveva inviato l’assegno dell’importo di euro 4.940,09 unitamente a comunicazione nell’ambito della quale si precisava che la medesima costituita un atto di offerta compiuto in base alle norme vigenti ed agli accertamenti tecnici eseguiti in relazione al sinistro, a completa definizione di ogni diritto e pretesa per tutti i danni conseguiti; ha quindi ribadito la con divisibilità delle statuizioni contenute nella pronuncia appellata osservando che la lesione all’integrità psicofisica era stata concretamente accertata da parte del consulente d’ufficio a seguito di esame obiettivo, compiuto tenendo conto di quanto tra l’altro risultante da un accertamento radiologico compiuto in data 18.7.14; ha riaffermato la spettanza del danno morale, anche alla luce delle più recenti pronunce dei giudici di legittimità; ha sottolineato la congruità della scelta di porre le spese di lite a carico delle controparti, dal momento che le medesime non avevano svolto alcuna proposta transattiva ante causam, costringendola ad agire in giudizio; ha a propria volta proposto appello incidentale avverso la sentenza nella parte in cui era stato escluso il ristoro delle spese inerenti:

  • la visita medico legale svolta prima dell’inizio causa per un totale di euro 380,00.
  • l’espletamento della CTP in corso di causa, pur in assenza di emissione della relativa fattura, dal momento che l’obbligo di far fronte al relativo pagamento doveva in realtà ritenersi già sorto, per un totale di euro 610,00.
  • i viaggi compiuti per recarsi a compiere le visite mediche e le terapie riabilitative, per un totale di euro 200,00.
  • l’assistenza tecnica stragiudiziale prestata da un legale, per un totale di euro 1.722,83.

Sicchè ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità ovvero il rigetto nel merito del gravame principale e la parziale modifica della pronuncia in accoglimento dell’appello incidentale, con condanna delle controparti al pagamento in proprio favore degli importi sopra menzionati.
Datosi corso alla trattazione meramente orale del giudizio, la causa è stata quindi trattenuta in decisione.
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Esaminando in ordine logico le varie questioni sottoposte all’attenzione del giudicante si nota allora, innanzi tutto, come l’appello principale proposto da A……………. e dalla Assicurazione A…………….. debba ritenersi ammissibile pur a fronte dell’eccezione sollevata da parte dell’appellata.
Ed invero – una volta ricordato che per pacifica giurisprudenza di legittimità l’acquiescenza tacita, che comporta l’inammissibilità dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 cpc, deve risultare dal compimento di atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione prevista dalla legge, e dai quali quindi desumersi in modo preciso ed univoco la volontà della parte di accettare la definizione della controversia nei termini segnati dalla sentenza impugnabile e di non contrastarne gli effetti giuridici (Cass. 28.8.15 n. 17267, 13.9.06 n. 19654 e 6.3.06 n. 4794) – non vi è chi non veda come nella fattispecie a tanto si sia dato corso.
In proposito, invero, va osservato come con la missiva datata 15.1.16 la compagnia assicurativa abbia formulato un “Atto di offerta – Pagamento con assegno”, nel cui ambito si precisava che la somma di euro 4.940,09 portata nell’allegato titolo veniva offerta “in base alle norme vigenti ed ai nostri accertamenti tecnici sul sinistro, a completa definizione di ogni diritto e pretesa per tutti i danni conseguiti”, di tal che pare evidente che siffatta condotta non costituisca in realtà manifestazione di un pieno ossequio alle statuizioni del primo grado, dovendovi sottolineare:

  • per un verso, il fatto che risulti offerto il pagamento della sola somma liquidata a titolo di capitale ed interessi e non anche di quella dovuta a titolo di spese e competenze di lite, il che mal si attaglia ad una ipotetica incondizionata accettazione della pronuncia emessa dal Giudice di Pace di Padova.
  • Per altro verso, la circostanza che nemmeno si faccia riferimento nell’ambito della missiva ad una qualsiasi volontà di accettare le determinazioni di una sentenza di primo grado, facendosi al contrario riferimento ad una offerta formulata sulla base di proprie valutazioni, ciò che è cosa ben diversa dalla accettazione delle ragioni poste a fondamento della pronuncia di primo grado.

lesioneVenendo allora all’esame del merito delle questioni, ed affrontando il primo dei motivi dell’appello principale, rileva lo scrivente come, per il risarcimento del danno alla persona per lesioni di lieve entità l’art. 32, comma terzo quater, della legge n. 27/12 richieda un riscontro medico legale da cui risultivisivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione” ed è sulla base di questa direzione che si pretende di affermare l’impossibilità da parte del medico legale, di individuare la sussistenza della lamentata lesione in forza di un semplice riscontro di tipo oggettivo.
Ciò posto, non si comprende peraltro per quale ragione un esame visivo debba essere privilegiato rispetto alla palpazione, percussione, auscultazione ed altri accertamenti compatibili con la semeiotica.
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In proposito soccorre d’altronde l’art. 32, comma terzo ter, della medesima fonte normativa il quale, nell’apporre modifiche al secondo comma dell’art. 139 del D. Lgs. 7.9.05 n. 209 (Codice delle Assicurazioni) fa riferimento alla necessità di un “accertamento clinico strumentale obiettivo”.
Ciò che pone la necessità di armonizzare le due menzionate previsioni.
Ora è ben noto che in campo medico l’esame obiettivo si compone delle manovre diagnostiche effettuate dal medico per verificare la presenza dei segni indicativi di una deviazione dalla condizione di normalità fisiologica.
Il termine “visivamente” può allora essere inteso come sinonimo di evidenza scientifica, riguardo al quale risultano quindi ammessi ed utilizzabili tutti i criteri della semeiotica, essendo tra l’altro pacifico che il riscontro “strumentale” sia comunque da considerarsi alternativo rispetto a quello “obiettivo”.
Una volta interpretata in tal modo l’espressione “visivamente”, diviene quindi agevole concludere che l’art. 32 comma terzo quater richiede unicamente che la lesione sia suscettibile di un accertamento medico-legale, requisito peraltro richiesto anche in passato.
E da una lettura coordinata di tale comma e di quello precedente discende che anche il comma terzo ter, relativo in via specifica al danno biologico permanente, richieda semplicemente, ai fini del risarcimento, che la lesione sia suscettibile di accertamento medico legale, non essendovi infatti alcuna plausibile ragione per cui un limite alla risarcibilità delle conseguenze della lesione del bene salute debba operare solo per i postumi permanenti e non per l’invalidità temporanea.
Opinando diversamente, infatti, si dovrebbe affermare che un pregiudizio di carattere stabilizzato incontri maggiori limiti di risarcibilità rispetto ad un pregiudizio di natura meramente temporanea, il che appare privo di senso.
D’altro canto, qualora si ritenesse indispensabile un accertamento strumentale, si verrebbe a creare un palese contrasto tra la comune criteriologia medico legale e il contenuto delle nuove disposizioni.
Esistono infatti malattie che si estrinsecano con delle alterazioni strumentali, ma che non sono rilevabili clinicamente od obiettivamente: ad esempio un trauma cranico con microlesione encefalica che dà luogo ad un focolaio epilettogeno produce sintomatologia di tipo temporale non riscontrabile aliunde e che solo il paziente è in grado di riferire.
In casi del genere la patologia non è dimostrabile né clinicamente, né all’esame obiettivo, ma solo strumentalmente, attraverso un’alterazione dell’EEG.
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Mentre al contrario l’area dei disturbi psico-reattivi è caratterizzata dal fatto che gli stessi non sono dimostrabili strumentalmente ma solo ricorrendo ad un esame clinico e del tutto analogamente anche le lesioni sensoriali trovano di solito esclusivo riscontro clinico, ben difficilmente potendo avere un riscontro strumentale al di fuori del compimento di indagini estremamente complesse.
Una interpretazione letterale delle norme de quibus porterebbe dunque ad escludere il risarcimento di numerosi danni biologici, prevedendo il riconoscimento esclusivo di danni alla persona con determinate caratteristiche di apprezzamento obiettivo, allorchè, al contrario, le conoscenze scientifiche e la corretta applicazione metodologica valutativa medico legale, consentono di individuarne comunque la reale sussistenza.
Simili sono poi le considerazioni da operarsi con riferimento ad una lesione che debba essere “visivamente o strumentalmente accertata”, apparendo evidente che una lettura meramente testuale del termine “visivamente” porterebbe ad escludere una serie di lesioni che di fatto sono comunque accertabili come ad esempio il caso, non visibilmente né strumentalmente accertabile, di una lussazione di spalla autoridotta.
Deve quindi concludersi affermando che l’accertamento strumentale può essere decisivo nei casi di dubbia interpretazione ai fini del riconoscimento della lesione biologica, ma che in ogni caso può comunque essere ritenuto sufficiente anche un dato clinico obiettivo, purchè scientificamente compatibile e adeguatamente connesso all’evento lesivo.
Nel caso che ci occupa quindi l’operato del CTU non va censurato, dal momento che lo stesso, dopo aver proceduto alla visita diretta della periziata, ha preso visione dell’accertamento radiologico eseguito in data 18.7.14, il quale certificava la rettificazione della fisiologica lordosi lombare, di tal che non possano residuare dubbi in merito alla sussistenza dei postumi permanenti.
Egli ha inoltre accertato la compatibilità delle lesioni riscontrate all’evento lesico sicchè, essendosi in presenza di un dato clinico obiettivo, non residuano dubbi sul punto, tenuto anche conto del fatto che il nesso di causalità in materia civile soggiace alla regola del “più probabile che non”.
Nè il giudizio appena espresso può mutare pur a fronte degli arresti operati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 235 del 16.10.14 e con l’ordinanza n. 242 del 26.11.15.
Quanto al primo dei provvedimenti citati, appare infatti di tutta evidenza come il punto in cui la Consulta afferma che l’accertamento strumentale condizionerebbe la risarcibilità delle lesioni
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permanenti di lieve entità, null’altro costituisca se non mero obiter dictum, non essendo quello l’oggetto del giudizio di legittimità, volto invece a verificare la tenuta costituzionale dell’art. 139 del D.Lgs. 7.9.05 n. 209 nella parte in cui limiterebbe la tutela del diritto all’integrità della persona stabilendo, nell’ipotesi di c.d. micro permanenti, specifici limiti risarcitori ancora a rigidi parametri tabellari.
Tanto è vero che un benchè minimo ragionamento viene svolto dai giudici della Corte a sostegno della predetta affermazione, la quale pare più il semplice richiamo letterale dei commi 3 ter e 3 quater dell’art. 32 del D.L. 24.1.12 n. 1 – convertito, con modificazioni, dalla legge 24.3.12 n. 27 – che non una argomentata disamina delle complesse questioni sottese alle problematiche in oggetto.
Mentre, per quel che attiene al secondo dei provvedimenti richiamati – pur non potendosi negare che l’ordinanza in esame effettivamente riconosca la legittimità costituzionale delle norme appena sopra richiamate anche ove interpretate nel senso di ritenere imprescindibile un accertamento strumentale ai fini della risarcibilità del danno permanente derivante da una microlesione e ciò in forza di un bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti in gioco nella fattispecie – ciò nonostante resta evidente come la medesima non sia in grado di precludere una diversa attività interpretativa di questo giudice, essendo principio pacifico quello secondo cui il vincolo che deriva, sia per il giudice a quo sia per tutti gli altri giudici comuni, da una sentenza interpretativa di rigetto resa dalla Corte Costituzionale, è soltanto negativo, consistente cioè nell’imperativo di non applicare la norma secondo l’interpretazione ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale.
Sicchè resta salva la libertà dei giudici:
– di interpretare ed applicare la medesima norma, ai sensi dell’art. 101, secondo comma, Cost., sulla base di interpretazioni diverse ritenute compatibili con la Costituzione,
– oppure di sollevare nuovamente, in gradi diversi dello stesso processo, la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, sulla base della interpretazione rifiutata dalla Corte costituzionale, eventualmente evocando anche parametri costituzionali diversi da quello precedentemente indicato e scrutinato (Cass. Sez. Un. 16.12.13 n. 27936 e Cass. 26.2.14 n. 4592).
Ciò che è appunto a dirsi nella fattispecie, ove la Corte si è limitata ad affermare la legittimità costituzionale della norma anche ove interpretata nel senso di rendere comunque mprescindibile un accertamento strumentale, senza peraltro minimamente prendere in considerazione ovvero sconfessare il diverso orientamento interpretativo – comunque conforme ai parametri costituzionali – secondo il quale ciò non sarebbe necessario in alcuni specifici casi, più sopra menzionati.
E pure dovendosi ricordare come con pronuncia recentissima di n. 18773, emessa in data 26.9.16, la stessa Suprema Corte abbia avuto modo di precisare che i commi tre ter e tre quater dell’art. 32 del
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D.L. 24.1.12 n. 1 debbano essere letti in correlazione alle necessità, predicata dagli artt. 138 e 139 C.d.A., che il danno biologico sia suscettibile di accertamento medico legale, esplicando entrambe le norme, senza differenze sostanziali tra loro, i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale: e cioè quello visivo , quello clinico e quello strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro nè unitariamente intesi ma da utilizzarsi secondo le leges artis, siccome conducenti ad una obiettività dell’accertamento stesso che riguardi sia le lesioni che i relativi postumi.
Rigettato pertanto il primo motivo d’appello, sussistono invece sufficienti motivi per procedere all’accoglimento del secondo.
In proposito, infatti, osserva il giudicante come in effetti il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non patrimoniale al pari di quello biologico, non possa ritenersi compreso in quest’ultimo e debba pertanto essere liquidato autonomamente, in ragione della differenza ontologica esistente tra di essi, corrispondendo tali danni a due momenti essenziali della sofferenza dell’individuo, il dolore interiore da un lato e la lesione dell’integritàpsico-fisica della persona nonchè la susseguente alterazione della vita quotidiana dall’altro (Cass. 3.10.13 n. 22585), senza che ciò comporti alcuna duplicazione risarcitoria (Cass. 9.6.15 n. 11851).
Quanto poi al suo riscontro ed alla sua quantificazione si nota pure come secondo le più recenti pronunce dei giudici di legittimità il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesioni di diritti inviolabili, non possa mai ritenersi in re ipsa, ma debba essere debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. 13.5.11 n. 10527).
Ciò posto, ne deriva che la categoria del danno morale, tuttora autonomamente risarcibile, non tollera peraltro una valutazione meramente apodittica del genere di quella operata dal Giudice di Pace di Padova che ha ritenuto di dover affermare la sussistenza di un patimento intimo operando una petizione di principio priva di qualsiasi riscontro.
Al contrario, ritiene lo scrivente che l’esame delle circostanze concrete del caso in esame debba invece condurre ad escludere l’esistenza di tale danno, potendosi ritenere che:
– l’assoluta modestia dei postumi permanenti,
– il riscontro da parte del consulente d’ufficio di sofferenze fisiche lievi,
– la mancata specificazione e dimostrazione ad opera della parte di quali sarebbero gli elementi da cui desumere l’avvenuto verificarsi in suo capo di un particolare turbamento,
necessariamente comportino il rigetto della relativa domanda.
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Quanto al terzo motivo di doglianza principale – afferente alla liquidazione delle spese di lite – se ne differisce viceversa la trattazione al termine dell’esame delle censure sollevate in via incidentale dalla odierna appellata, potendosi valutare la congruità della scelta così operata solo una volta chiarito quale sia l’esatto ammontare delle spettanze dovute in favore della parte appellata.
Riguardo allora al primo dei predetti motivi di impugnazione incidentale, si osserva come in effetti dovuto risulti il rimborso delle spese sostenute per la visita medico legale esperita ante causam e documentata da idonea fattura dell’importo di euro 380,00, trattandosi di prestazione resasi necessaria al fine di far valere le proprie ragioni nel successivo giudizio di merito, relativamente alla quale i giudici di legittimità hanno affermato trattasi di conseguenza normale e regolare del fatto illecito della quale il giudice del merito deve tenere conto in sede di liquidazione del danno (Cass. 22.6.82 n. 3803).
Mentre va affermato che del tutto correttamente il giudice di prime cure ha ritenuto di non liquidare le spese di CPT asseritamente sostenute dall’attrice in corso di causa, dal momento che nessuna prova è stata fornita del fatto che delle relative prestazione sia stato richiesto il pagamento, essendosi provveduto al deposito di un mero pro forma di fattura.
Tale documento infatti – a differenza della fattura, la cui emissione comunque attesta una assunzione di responsabilità da parte dell’emittente, obbligandolo a far fronte ai carichi di natura fiscale – non appare al giudicante minimamente idoneo a comprovare che le relative prestazioni saranno un giorno oggetto di effettivo pagamento, in considerazione della sua sostanziale irrilevanza sotto ogni profilo, tale per cui l’asserito creditore nemmeno si è peritato di dare veste formale alle sue pretese.
Ed altrettanto infondato si palesa il terzo motivo di doglianza, dal momento che secondo i giudici di legittimità il Giudice, solo dinanzi a lesioni personali di devastante entità, che abbiano costretto il leso ed i suoi familiari a numerosi e ripetuti ricoveri, purchè questi ultimi siano documentati, può liquidare il pregiudizio consistito nelle erogazioni per viaggi di cura e di spese mediche in assenza della prova dei relativi esborsi, ai sensi dell’art. 1226 cc (Cass. 19.1.10 n. 712).
Circostanze queste che non ricorrono certo nel caso di specie.
Al contrario, in parziale accoglimento del quarto motivo di censura incidentale, spetta invece all’attrice il rimborso delle spese sostenute dal legale per la gestione della fase stragiudiziale del sinistro, essendo stato ben chiarito dai giudici di legittimità che, nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta co la legge 24.12.69 n. 990 e sue successive modificazioni, il danneggiato ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e:
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  • le ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali,
  • in ipotesi di successiva introduzione di un giudizio nel quale il richiedente sia vittorioso, di ottenere il ristoro di quelle sostenute nella fase precedente all’instaurazione del giudizio, alla stregua di una qualsiasi componente del danno da liquidare sotto forma di spese vive (Cass. 2.2.06 n. 2275).
    Le stesse peraltro vanno contenute nei limiti della congruità e pertanto – in relazione alle attività che risultano dimostrate nella circostanza, costituite dallo scambio di alcune missive, e tenuto conto dei parametri dettati dall’art. 19 del D.M. 10.03.14 n. 55 – possono essere riconosciute per il minor importo di euro 500,00.
    Alla luce delle quali considerazioni la sentenza di primo grado va quindi modificata affermandosi che all’attrice compete un complessivo risarcimento di euro 4.878,99 anziché quello di euro 4.261,92.

Riscontrato pertanto tale esito sostanziale della causa ne consegue anche la correttezza della disposizione relativa alla liquidazione delle spese di lite giacchè, per un verso, appare evidente la soccombenza dei contenuti rispetto alle domande esperite dalla controparte e per altro verso nemmeno ricorre il presupposto di cui all’art. 91 cpc, secondo il quale la domanda risulta accolta in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, essendosi la parte soccombente limitata a proporre il pagamento della minor somma di euro 4.400,00 a fronte di un danno accertato di euro 4.878,99.
E pure dovendosi rilevare che in ogni caso la proposta risulta formulata solo cinque giorni prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni di tal che, a tutto voler concedere, al massimo avrebbero potuto essere escluse le sole spese relative alla fase decisionale.
Quanto infine alle spese di giudizio, liquidate come dispositivo sulla base dei parametri dettati dal D.M. 10.3.14 n. 55, tenendo conto:

  • dello scaglione compreso fra euro 1.100,01 ed euro 5.200,00 in ragione del valore della causa,
  • del fatto che la fase istruttoria non si è tenuta,

le stesse gravano solidalmente sugli appellanti in forza del principio di soccombenza prevalente.

  1. Q. M.
    Il Giudice, pronunciando in maniera definitiva sulla presente controversia, disattesa ogni diversa istanza, in parziale riforma della sentenza n. 1768 depositata dal Giudice di Pace di Padova il 2.11.15:
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  1. Condanna “Assicurazione A” e “A” in via tra loro solidale al pagamento in favore di “B” della somma di euro 4.878,99, in moneta attuale da devalutarsi alla data del sinistro, oltre agli interessi compensativi al tasso di legge ordinario dal fatto al saldo, da computarsi sull’importo rivalutato anno per anno sino alla presente sentenza;
  2. Condanna gli appellanti a rifondere in favore dell’appellata le spese processuali che liquida in euro 870,00 per competenze, oltre al rimborso delle anticipazioni, delle spese generali, dell’IVA e degli accessori di legge.
    Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura delle parti presenti ed allegazione al verbale.

Padova, 20 ottobre 2016

Il Giudice

 

                                                                                           Dott. ………………………….