Risarcimento malasanità

Risarcimento malasanità

Risarcimento

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati                                  Oggetto

GIACOMO TRAVAGLINO                        Presidente
LINA RUBINO                                           Consigliere
ENZO VINCENTI                                      Consigliere
ANTONELLA PELLECCHIA                     Consigliere-Rel.   Ud. 08/06/2022 PU
PAOLO PORECCA                                   Consigliere          CRON. 25887

R.G.N. 29326/2019

SENTENZA

Sul ricorso 29326/2019 proposta da:https://www.tutelaituoidiritti.it/risarcimento-danni/

Ministero Della S Salute, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui è rappresentato e difeso;

– ricorrente-
contro
DR                                                                                                   – intimato-
nonché da

  1. elettivamente domiciliato in Roma V. Emilia 81 presso lo studio dell’avvocato P.Z.G.C. che lo rappresenta e difende;
    ricorrente incidentale
    Contro
    Ministero Della Salute;
    -intimato-
    avverso la sentenza n.560/2016 della CORTE D’APPELLO di Firenze, depositata il 11/03/2019;
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2022 da P.AFATTI DI CAUSA
  1. Nel 2010 R.D. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale Di Firenze, il Ministero della Salute, l’Azienda USL x di Firenze e l’Arcispedale di x, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti per aver contratto il virus dell’epatite HBV e HVC, a seguito di una emotrasfusione con sangue infetto che gli era stata praticata, nel 1979, nel corso di un intervento chirurgico per coxoartrosi. Ecco capo a fondamento della sua pretesa, l’attore espose che, a seguito della scoperta della patologia virgola che gli era stata diagnosticata solo nel giugno/luglio del 1999, il suo quadro di vita era stato completamente sconvolto, poiché si era dovuto sottoporre a continue visite mediche, senza prospettive di guarigione, e ciò gli aveva causato uno stato di forte stress depressione.

Dedusse, inoltre, di aver presentato, nell’anno 2000 domanda per il riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992 e che, all’esito della visita medica, la Commissione Ospedaliera di x. aveva riconosciuto la sussistenza del nesso di causalità solo in merito alla contrazione della epatite HVC.

Si costituì in giudizio l’Azienda USL x., eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.

Si costituì anche il Ministero della Salute, il quale eccepì preliminarmente la prescrizione del diritto vantato dall’attore, chiedendo poi, nel merito, il rigetto della domanda, adducendo la mancata prova del nesso di causalità, ovvero la ricorrenza di cause di giustificazione idonee ad escludere l’antigiuridicità della sua condotta, e contestando poi l’entità della liquidazione del danno chiesta dall’attore e la pretesa non cumulabilità del risarcimento con l’indennizzo previsto dalla legge.

Sotto il profilo della colpevolezza della condotta, sostenne, poi, la difesa erariale che le conoscenze scientifiche acquisite all’epoca dei fatti di causa non erano tali da consentire al Ministero di adottare le misure idonee a prevenire l’evento della trasmissione del virus mediante emotrasfusione.

Con sentenza parziale definitiva del 31 maggio 2011, il Tribunale di Firenze dispose l’estromissione dal giudizio dell’Azienda USL x. di Firenze, e, con la sentenza n.760/2015, accertata la responsabilità del Ministero, accolse la domanda attorea e condannò l’Amministrazione convenuta al risarcimento dei danni, liquidati nella somma di Euro 73.821, con obbligo di detrazione delle somme percepite dall’attore, ai sensi della legge n. 210/1992, fino alla data di deposito della sentenza.

Il giudice di primo grado assunse, quale parametro per la liquidazione del danno, l’età del danneggiato alla data della domanda di indennizzo (47 anni).

  1. La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n.560/2019, ha parzialmente accolto l’appello incidentale formulato dal D. , ritenendo che il parametro cui fare riferimento per la liquidazione del danno biologico fosse l’età del danneggiato nel momento della contrazione del contagio, di 25 anni, e non quella di 47 anni, presa in considerazione dal giudice di primo grado e relativa al momento in cui patologia gli era stata diagnosticata.

La Corte ha accolto parzialmente anche l’appello incidentale proposto dal Ministero della Salute e, pertanto, ha applicato il criterio della capitalizzazione per calcolare tutte le somme già percepite e da percepire in futuro, a titolo di indennizzo ex lege 210/1992, rilevanti ai fini della compensatio lucri cum damno.

Il giudice d’appello ha conseguentemente rideterminato il credito residuo del danneggiato nella somma di Euro 51.706,11.

  1. Avverso la predetta sentenza il Ministero della Salute propone ricorso per Cassazione, affidato a un motivo.
  2. resiste con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo illustrato da memoria.

3.1 Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del primo motivo, assorbiti altri motivi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con l’unico motivo di ricorso principale, il Ministero della Salute lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c. co. 1, n.3, la violazione e falsa applicazione degli artt.2043, 2056 e 2697 c.c.,

dei principi della legge 210 del 1992, e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente assunto, come parametro per il computo del danno subito dal D., l’età del danneggiato al momento del sinistro (25 anni) anziché quella che il D. aveva al momento della richiesta amministrativa dell’indennizzo (47 anni).

Lo stesso danneggiato, del resto, aveva ammesso nel corso del giudizio di non aver avuto accusato alcun sintomo fino al 1999, anno in cui ha scoperto di essere positivo all’epatite B all’anti HCV.

  1. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, il D. lamenta, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., Per avere la Corte d’appello disposto la compensatio lucri cum damno Tra il risarcimento liquidato e l’indennità percepita ai sensi della legge n. 210 del 1992.

Osserva, In particolare, il ricorrente incidentale che il Ministero avrebbe dovuto dimostrare con precisione l’entità delle somme versate al danneggiato, nel rispetto dei termini processuali di decadenza.

Il Ministero, viceversa, in primo grado, aveva richiesto unicamente l’applicazione della compensazione, senza addurre prove specifiche sul punto; mentre solo nel giudizio di appello aveva prodotto la documentazione attestante l’effettiva entità dei versamenti.

Il giudice d’appello non avrebbe dovuto prendere in considerazione tale documentazione, ai fini della decisione, perché prodotta tardivamente.

  1. Il motivo del ricorso principale è fondato.

Il criterio adottato dalla Corte d’appello, che ha riconosciuto che il danno al D. Dovesse essere calcolato dall’epoca di contrazione del contagio e non dal momento in cui si è manifestato il danno (come correttamente opinato dal giudice di primo grado), non è conforme a diritto, e contrasta, in particolare, con le risultanze probatorie ed istruttorie emerse nel corso del giudizio di merito.

Risulta, infatti, dalla sentenza e dagli atti di causa che il D. era stato sottoposto a trasfusioni nel 1979 e che, fino al 1999, non ebbe alcun sentore di essere stato contagiato, né di aver accusato alcuna conseguenza dinamico- relazionale nel corso di quegli anni.

Ai fini della stima del danno, occorre considerare che: a) nel danno lungo latente, il nesso tra fatto lesivo e conseguenze pregiudizievoli non è sincronico ma diacronico, il che significa che il danno- conseguenza si «esternalizza» non già immediatamente, bensì dopo un certo lasso temporale, di durata variabile – e, a volte, anche a distanza di anni – dal fatto illecito; b) finché l’ agente patogeno è innescato dal fatto illecito non si manifesta, non si realizza alcun danno risarcibile in quanto solo il danno conseguenza costituisce il parametro di determinazione del danno ingiusto.

Nel caso di specie, occorre considerare che lo stesso attore, nell’atto di citazione in primo grado (ricorso pag. 7 del Ministero), ammetterà che, per circa vent’anni, non aveva mai accusato alcun sintomo delle patologie contratte, e che solo in occasione di alcuni accertamenti sanitari eseguiti il 18 ed il 24 giugno 1999 gli veniva diagnosticata positività all’epatite B e all’anti HCV.

Ne consegue che il D., come altresì dichiarato al CTU nel corso dell’istruttoria, non poteva lamentare alcun danno conseguenza risarcibile fino all’anno 1999.

È principio di diritto consolidato presso questa Corte quello secondo il quale, alle dichiarazioni a sé sfavorevoli rese dalla parte al CTU, non può contribuire arsi la stessa valenza probatoria riconosciuta dall’art. A 2735, comma 1, seconda parte, c.c. alle dichiarazioni confessore stragiudiziali fatte al terzo, le quali non hanno efficacia di “piena prova”, ma possono concorrere, con le altre risultanze di causa, la formazione del convincimento del giudice (Cass. n. 24468/2020).

In particolare, il consulente tecnico d’ufficio, nell’espletamento del mandato ricevuto, può chiedere informazioni a terzi e dalle parti per l’accertamento dei fatti collegati con l’oggetto dell’incarico, senza bisogno di una preventiva autorizzazione del giudice, potendo tali informazioni virgola di cui siano indicate le fonti in modo da permetterne il controllo delle parti, concorrere, con le altre risultanze di causa, alla formazione del convincimento del giudice; Inoltre, il CTU, in quanto ausiliario del giudice, ha la qualità di pubblico ufficiale e, pertanto, il verbale da lui redatto, ove si attesti l’esistenza del suscitato informazioni, fa fede fino a querela di falso (Cass. N. 14652/2012).

Per altro verso, va altresì considerato come l’affermazione relativa alla totale assenza dei sintomi (fino al momento in cui il D. scopre la positività all’epatite B e all’antica HCV) Non sia mai stata contestata nel corso del giudizio, ne viene contestata nel controricorso.

Alla luce di tali premesse, emerge ictu oculi l’errore di diritto in cui cade la Corte territoriale, volta che il risarcimento del danno biologico, così come riconosciuto dall’attore (e diversamente da quanto correttamente ritenuto in prime cure), si risolve, nella sostanza, in un danno in re ipsa, risarcito, sul piano della causalità materiale, sotto il profilo meramente eventistica, del tutto a prescindere dal disposto dell’art. 1223 c.c., che quel risarcimento consente esclusivamente in relazione alle conseguenze dannose immediate e dirette dall’evento, sul diverso piano della causalità giuridica.

La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha da lungo tempo affermato che “per danno biologico deve intendersi non la semplice lesione all’integrità psicofisica in sé per sé, ma piuttosto la conseguenza del pregiudizio stesso sul modo di essere della persona (…). Il danno biologico misurato percentualmente e pertanto la menomazione all’integrità psicofisica della persona la quale esplica una incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico- relazionali comuni a tutti” (ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 19153 del 19.7.2018).

Pertanto il danno da lesione della salute, per essere risarcibile, deve avere per effetto compromissione d’una o più abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane, nessuna esclusa: dal fare, all’essere, all’apparire. Se non avesse alcuna di queste conseguenze, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico- legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile (così, ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 7513 del 27.3.2018).

Una diversa soluzione – quale quella adottata dalla Corte territoriale – risulta, pertanto, come già accennato in premessa, non conforme a diritto, volta che, da un canto, si consentirebbe, in tal modo, il risarcimento d’un danno in re ipsa, e cioè affermato in astratto e non ha accertato in concreto; dall’altro, tale soluzione finirebbe per accordare il risarcimento del danno limitandosi all’accertamento del nesso di causalità materiale tra condotta illecita ed evento, senza indagare sulla necessaria causalità giuridica tra evento e conseguenze dannose, pur necessaria ai sensi dell’art. 1223 c.c..

Questa Corte infatti, da tempo ha stabilito che il “danno risarcibile” non è costituito dalla lesione di un diritto: questa è solo il necessario presupposto per l’esistenza del danno, il quale dovrà comunque manifestarsi con una perdita: patrimoniale o di altro tipo, ma pur sempre una “perdita” concreta, inteso tale lemma nella sua più ampia accezione (Cass. Sez. 3, Sentenza n.4991 del 29/05/1996, nella cui motivazione si afferma che per il danno biologico “non vale la regola che, verificatosi l’evento, vi sia senz’altro un danno da risarcire. Il risarcimento del danno vi sarà se vi sarà perdita di quelle utilità che fanno capo all’individuo nel modo preesistente al fatto dannoso”: il principio è rimasto fermo nella giurisprudenza di questa Corte, sino alla già ricordata Cass.7513/08, cit.)

La stessa definizione legislativa di danno biologico esclude ipso facto la risarcibilità del (solo) evento di danno, consentendola, viceversa, a condizione che la lesione della salute abbia esplicato “un incidente negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico- relazionali della vita del danneggiato” (art. 138 C.d.A., come riformato dalla legge 124/2017).

Ne consegue che, sotto il profilo dinamico-relazionale, nessun danno risarcibile poteva e doveva ritenersi predicabile nell’an e risarcibile nel quantum da parte della Corte territoriale, che avrebbe potuto e dovuto, viceversa, considerare il solo, eventuale – ed autonomo – aspetto della sofferenza morale, conseguente, sul piano delle presunzioni semplici, all’apprendimento della notizia dell’ infezione da parte dell’ odierno ricorrente incidentale – oltre che considerare, se provate ex actis, le eventuali incidenze negative prodottesi nella vita del D. all’indomani della diagnosi ricevuta nel 1999.

Va altresì sottolineato come i principi appena esposti non si pongono in contrasta con l’affermazione, pure ripetutamente compiuta da questa Corte, secondo cui per “danno biologico permanente” deve intendersi non solo la lesione permanente o temporanea dell’integrità psicofisica, ma anche “l’aumentato rischio di contrarre malattie in futuro, ovvero l’aumentato rischio di morte ante tempus(Cass. Sez 3, Sentenza n.26118 del 27/09/2021, Rv.662498 – 02).

Ed infatti, quando il danno alla salute consista in una di questi ultimi pregiudizi, sarà pur sempre necessario, ai fini della risarcibilità, che il danneggiato abbia visto pregiudicate in qualunque modo le proprie attività quotidiane, ovvero (almeno) che sia consapevole dell’esistenza del contagio, e che questa conoscenza abbia prodotto un apprezzabile turbamento. In mancanza tanto dell’una, quanto dell’altra di queste conseguenze, mancherebbe quella “perdita” non patrimoniale che, come s’è detto, rappresenta l’essenza stessa del danno risarcibile.

  1. Il motivo di ricorso incidentale è infondato.

E’ orientamento consolidato presso questa Corte che la compensatio tra indennizzo e risarcimento deve ritenersi legittima, sempre che dagli atti emerga la prova che detto indennizzo sia stato effettivamente versato.

Infatti, nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, indennizza di cui alla L. n. 210 del 1992, può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno)  solo se sia stato effettivamente versato o, comunque, sia determinato nel suo preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati della cui prova è onerata la parte che eccepisce il lucrum  (cfr. Cass. 05/11/2021, n. 32030; 31/01/2019, n. 2778; 15/06/2013 n. 14932; 28/02/2014 n. 4785; 08/10/2014, n. 21256; del 10/05/2016 n. 9434).

Nel caso di specie, La Corte d’Appello nella sentenza impugnata (pag. 5) Da atto che vi è certamente prova documentale della corresponsione dell’indennizzo fino al 2009. Aggiunge anche che, tale riscontro documentale, si aggiunge la circostanza pacifica tra le parti che il D. abbia regolarmente percepito e continua a percepire l’indennizzo virgola non essendo mai stato revocato il beneficio in questione.

  1. Va, pertanto, accolto il ricorso principale, mentre deve essere rigettato quello incidentale.

La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio del procedimento anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Firenze che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi su esposti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione.

Rigetta il ricorso incidentale.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis del citato art.13.

Così deciso In Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 8 giugno 2022

Il Consi          e  r.   atore