Pedone investito Valutazione della responsabilità Corte di Cassazione

Pedone investito

Pedone investito Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 giugno – 19 ottobre 2016, n. 21072 Presidente Amendola – Relatore Graziosi
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 2083/2006 il Tribunale di Bergamo ha rigettato domanda di risarcimento di danni derivati da sinistro stradale del 29 luglio 2000 proposta da L.L. avverso UCI S.r.I. e RO.TRA.CO. Service S.r.l., ritenendo l’attore unico responsabile dei sinistro: il conducente di un autocarro di RO.TRA.CO. Service S.r.l., in un posteggio all’1:30 di mattina, lo aveva investito sul piede sinistro; secondo il Tribunale l’auto cui in quel momento l’attore era appoggiato era in sosta sulla carreggiata e l’attore, vedendo arrivare l’autocarro, avrebbe dovuto spostarsi e avrebbe comunque potuto farlo.
Avendo il L. proposto appello contro tale sentenza, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 29 febbraio-12 marzo 2012, lo ha respinto.
Ha presentato ricorso il L., sulla base di due motivi, da cui si difende con controricorso UCI S.r.l., chiedendo che sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
Il ricorrente ha illustrato il proprio ricorso anche con memoria ex articolo 378 c.p.c.
Motivi della decisione
II ricorso è fondato.
II primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 2054 c., per avere il giudice d’appello ritenuto che il pedone fosse stato l’unico responsabile del sinistro stradale, mentre l’articolo 2054, primo comma, c.c. grava il conducente della prova liberatoria: e ciò sarebbe stato ignorato dalla corte territoriale, che non ha verificato la condotta di guida del camionista. Tale condotta sarebbe stata colposa, come dimostrerebbero il restringimento della carreggiata per parcheggio di veicoli, la scarsa illuminazione del luogo e il danneggiamento dell’auto parcheggiata, tutti elementi che porterebbero alla colpa esclusiva del camionista. Non sarebbe poi vero che il sinistro non fosse stato evitabile dal camionista per il comportamento del pedone, comportamento niente affatto pericoloso.
Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi.
La corte territoriale non avrebbe analizzato la condotta di guida dei camionista e avrebbe ignorato che quest’ultimo ha danneggiato pure la vettura cui era appoggiato il pedone. Inoltre il giudice d’appello si sarebbe avvalso di termini possibilisti e probabilistici, sostenendo incredibilmente che in un parcheggio non sarebbe stato ragionevole prevedere la presenza di pedoni. Per di più il camion non si stava muovendo in strada, ma in un’area di parcheggio. Si ribadisce che sarebbe stato analizzato solo il comportamento del pedone, aggiungendo che la corte territoriale avrebbe “errato nell’apprezzare alcuni dati fattuali” fondamentali: la correzione di traiettoria dei camion mentre era immesso in carreggiata (che rileverebbe anche qualora non fosse stata una manovra repentina, e sarebbe consistita in una deviazione anomala), la consapevolezza del camionista della presenza di pedoni, la sua conoscenza delle “non agevoli condizioni spazio-temporali di guida”: tutto ciò comporterebbe che non sarebbe stato ostacolo imprevisto un pedone in procinto di salire in auto in un parcheggio. Inoltre il camionista, secondo la testimonianza dei teste Z., si sarebbe passivamente affidato a istruzioni di terzi, così effettuando una guida negligente e imprudente. Avrebbe dovuto invece prevedere la condotta dei pedoni.
Sarebbe poi contraddittoria la motivazione per non avere affermato una causalità esclusiva della condotta del camionista. Tutte le circostanze sarebbero state lette “a favore del pedone”, dando luogo ad una motivazione squilibrata, a favore del camionista. La lenta e regolare velocità che secondo il giudice d’appello avrebbe potuto mettere in allarme il pedone non avrebbe potuto creare un affidamento di sicurezza, e inoltre non sarebbe stata dimostrata la posizione dei tre pedoni (oltre

al L., Z. e B.) così da desumerne l’imprudenza del ricorrente e la prudenza degli altri due. In ogni caso, il livello di avvedutezza dei pedone non esonererebbe il conducente.

  • I due motivi sono stati susseguentemente esposti per evidenziare l’opportunità di accorparli per il vaglio: entrambi – benché il secondo (logicamente, considerata la natura del vizio che denuncia) si focalizzi con maggiore intensità su specifici elementi fattuali, peraltro non direttamente, ma in relazione al vizio motivazionale che denuncia e che nel caso di specie è disciplinato dall’articolo 360, primo comma, 5 c.p.c. nel testo anteriore all’articolo 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modifiche nella I. 7 agosto 2012 n. 134 — censurano la sentenza per avere incentrato l’accertamento esclusivamente sulla condotta del pedone, senza ricostruire e valutare la condotta del camionista, così giungendo alla violazione dell’articolo 2054, primo comma, c.c., che impone al conducente, per essere esonerato da ogni responsabilità per il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, l’onere di provare “di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”. Si tratta, come è ben noto alla luce di consolidata giurisprudenza di legittimità, di una presunzione juris tantum (da ultimo Cass. sez. 3, 18 novembre 2014 n. 24472; Cass. sez. 3, 5 marzo 2013 n. 5399; cfr. pure Cass. sez. 3, 4 febbraio 2016 n. 2173). Se è vero che tale presunzione non preclude l’indagine sull’eventuale concorso di colpa del pedone investito ex articolo 1227, primo comma, c.c. – concorso che sussiste qualora il comportamento di quest’ultimo sia stato pericoloso e imprudente (v. p.es. Cass. sez. 3, 13 novembre 2014 n. 24204 e Cass. sez. 3, 13 marzo 2009 n. 6168) -, ciò non significa che l’esistenza di un comportamento imprudente dei pedone esoneri dall’accertamento necessario per superare la presunzione di cui all’articolo 2054, primo comma, c.c. in ordine alla condotta del conducente (sempre tra gli arresti più recenti, v. l’assai chiara Cass. sez. 3, 5 marzo 2013 n. 5399, cit. : “L’accertamento del comportamento colposo del pedone investito da veicolo non è sufficiente per l’affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l’investitore vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall’art. 2054, primo comma, c.c., dimostrando di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno. Pertanto, anche nel caso in cui il pedone – nell’atto di attraversare la strada in un punto privo di strisce pedonali – abbia omesso di dare la precedenza ai veicoli che sopraggiungevano ed abbia iniziato l’attraversamento distrattamente, sussiste comunque una concorrente responsabilità del conducente il veicolo investitore, ove emerga che costui abbia tenuto una velocità eccessiva o non adeguata alle circostanze di tempo e di luogo”; e sulla stessa linea Cass. sez. 3, 24 novembre 2009 n. 24689; Cass. sez. 3, 8 agosto 2007 n. 17397; Cass. sez. 3, 21 aprile 1995 n. 4490). Tutto ciò deriva, logicamente, dalla configurabilità di una concorrenza di responsabilità tra conducente e pedone, che può essere esclusa soltanto – operando a carico del conducente, appunto, una presunzione – tramite l’accertamento di una condotta del pedone investito che sia talmente imprevedibile, in rapporto a tutte le circostanze nel cui contesto accade l’investimento, da “sconnettere” in toto il sinistro dalla serie causale rapportabile alla condotta del conducente.
  • Per comprendere, allora, come il giudice d’appello ha applicato l’articolo 2054, primo comma, c., occorre a questo punto esaminare la motivazione della sentenza impugnata.

Anzitutto la corte territoriale dà atto che il primo motivo d’appello “attacca frontalmente” l’avere il giudice di prime cure ritenuto il pedone totalmente responsabile dei sinistro nonostante che il conducente avesse “iniziato la manovra lentamente, così tranquillizzando le persone che si trovavano ferme a parlare accanto all’autovettura”, ma poi avesse “improvvisamente sterzato verso destra, in maniera brusca, così da non dare scampo al L.”, e nonostante altresì che “anche l’auto parcheggiata a fianco era stata danneggiata dal camion”; e accanto a queste censure di fatto, il primo motivo d’appello aveva richiamato proprio la giurisprudenza per cui negli incidenti che coinvolgano un pedone, il suo comportamento colposo non sarebbe sufficiente per l’affermazione della sua colpa esclusiva, “essendo sempre necessario che l’investitore vinca la presunzione a suo

carico, dimostrando non solo di aver fatto tutto il possibile per evitare il verificarsi dell’evento dannoso, ma anche che non vi sarebbe stata alcuna possibilità di evitare da parte sua l’incidente”. Dopo avere così puntualmente estratto il nucleo della doglianza dell’appellante, la corte territoriale opera la sua valutazione.

Si incentra, in primis, sugli elementi di fatto che erano stati rimarcati nel gravame, adducendo anzitutto che non vi sarebbe stata prova dell’improvvisa e rapida sterzata a destra. Peraltro non si può non notare per inciso, con un evidente fraintendimento della dichiarazione dei teste B., trascritta in motivazione: il teste dichiara infatti che i camion “dopo averci superato con 3/4 della sua lunghezza, intraprese ad un tratto, non so per quale ragione, una deviazione verso destra”: secondo la corte territoriale “tale deposizione accenna invero ad una deviazione verso destra, ma nulla dice circa la repentinità e soprattutto sulla velocità del veicolo” Ma affermare che, dopo lo scorrimento di quasi tre quarti della lunghezza dei camion, questo “ad un tratto”, senza che chi lo sta guardando ne comprenda il motivo, devia verso destra, non è un mero cenno, né la manovra viene descritta come priva di repentinità, ma è propria la descrizione di un improvviso sterzo; e se uno sterzo è improvviso, logicamente non è privo di una certa rapidità, come invece, nuovamente fraintendendo, nega la corte territoriale; la quale poi, per confermare la propria esclusione di velocità, afferma che il teste descrive l’andatura del camion “a passo d’uomo”, estrapolando però questa definizione da un’altra successiva parte della dichiarazione testimoniale.

Quanto all’ulteriore elemento fattuale addotto dall’appellante, cioè il danneggiamento dell’auto cui il L. si appoggiava, la corte afferma che “di per sé costituisce un fatto neutro”, lasciando pertanto intendere che un camion danneggi mentre si muove un veicolo fermo non ha nessun significato in ordine al tipo di guida tenuta dal conducente. Se così fosse, peraltro, si giungerebbe a definire questa condotta parimenti incensurabile anche per quanto concerne la lesione al pedone; ma ciò, a ben guardare, non è logico.

  • La corte, d’altronde, incentra la sua attenzione sulla pretesa condotta causativa del sinistro tenuta dal pedone: “considerata la situazione dei luoghi (caratterizzata dal parcheggio di autoveicoli sulle banchine laterali ed all’interno della strada, e quindi da un oggettivo restringimento della carreggiata praticabile, nonché dalla scarsa illuminazione e dall’ora notturna), mentre i movimenti (anche laterali) dell’autoarticolato potevano essere agevolmente prevedibili dal (anche per la sua esperienza professionale), la posizione di costui era obiettivamente pericolosa, perché la presenza di una persona in quella situazione non era normalmente intuibile per l’autista, né poteva essere ragionevolmente scorto a distanza, per la carenza di luce, sicché il sinistro va ricondotto all’errore di valutazione dell’infortunato”.

Anche questo passo della motivazione patisce illogicità. Se l’area era dotata di scarsa illuminazione nell’ora notturna in cui il sinistro si è verificato, non si comprende perché il conducente non potesse vedere né intuire la presenza di un pedone, ma quest’ultimo invece potesse prevedere i movimenti del camion. E se quell’area era in effetti affollata dal parcheggio di molti veicoli, non si comprende perché la presenza di pedoni, cioè di persone scese dai veicoli parcheggiati, non fosse intuibile dal camionista. Ad avviso della corte territoriale, poi, la carenza di luce non toglie alcuna criticabilità alla condotta del pedone, ma non rende minimamente censurabile la condotta dell’autista. La visione della corte territoriale è, per così dire, daltonica: quello che per il pedone è criticabile, per il camionista non lo è.

Peraltro, questi rilievi vengono effettuati proprio per dimostrare l’esistenza di una condotta del pedone che sarebbe causa – e per di più esclusiva – del sinistro. La corte prosegue il suo accertamento fattuale senza orientarsi direttamente sulla condotta del conducente del camion, schivando, a ben guardare, tale necessaria indagine con la qualificazione di irrilevanza del danneggiamento dell’auto (come già sopra si è visto) e richiamando il rapporto dei carabinieri con la planimetria ad esso allegata, per dedurne soltanto che “la strada era a doppio senso di marcia,
rettilinea e pavimentata, la visibilità era scarsa e l’illuminazione artificiale insufficiente” e che l’auto del teste Z. si trovava all’interno della carreggiata (anche se quest’ultimo aveva dichiarato il contrario).
Questa è dunque, in sintesi, la ricostruzione fattuale dell’evento operata dalla corte territoriale. Emerge ictu oculi che la prospettiva della responsabilità dei camionista non è stata mai adottata dalla corte, la quale ha glissato completamente il dettato normativo che la impone, cioè la presunzione di cui all’articolo 2054, primo comma, c.c., attraverso un affastellamento di elementi tutti univocamente orientati (pur se evidentemente incidenti anche sulla condotta del camionista) a censurare la condotta del pedone. Il quale tutto doveva prevedere, nel buio, della condotta del camionista; mentre quest’ultimo non era obbligato a tener conto della situazione di scarsa illuminazione e non poteva prevedere che in una zona affollata da tanti veicoli parcheggiati vi fosse qualche pedone che dai veicoli era sceso (dalla testimonianza B. risulta poi che “li vicino si teneva una festa della birra”; comunque su questa circostanza di affollamento come fonte di un obbligo di prudenza particolare per chi da tale area ripartiva la corte tace).

  • La corte conclude con qualche considerazione di diritto, osservando che infondato è il gravame perché non è “esatto affermare che anche l’accertamento del comportamento colposo di un pedone investito da un veicolo non possa essere sufficiente per l’affermazione della sua colpa esclusiva, dovendo l’investitore dimostrare non solo di aver fatto tutto il possibile per evitare il verificarsi dell’evento dannoso, ma anche che non vi fosse alcuna possibilità di evitare l’incidente”. Ciò perché, secondo il giudice d’appello, la prova liberatoria ex articolo 2054 c.c. “non deve essere necessariamente data in modo diretto, cioè dimostrando di avere tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada, ma può risultare anche dall’accertamento che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di attuare una qualche idonea manovra di emergenza”; e “il – attraverso il comportamento imprudente e contrario alle norme della circolazione (art. 190 CdS), che vietano ai pedoni la sosta sulla sede stradale – ha posto in essere una condotta imprevedibile ed anormale, e l’autista del camion si è trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti”.

É evidente che la corte erroneamente confonde l’accertamento di un comportamento censurabile di un pedone con lo sradicamento della presunzione ex articolo 2054, primo comma, c.c.: una condotta censurabile dell’investito assorbe a suo avviso la responsabilità del conducente. Non può che intendersi in tal modo il passo riportato, perché è ancor più insostenibile che – come sopra si è già rilevato – la discesa di pedoni da veicoli in un’area che è affollata di veicoli parcheggiati sia “una condotta imprevedibile ed anormale”: la corte scambia una condotta che definisce contraria alle norme di circolazione (qui ovviamente non si può scendere all’accertamento del fatto che il pedone fosse effettivamente sulla carreggiata oppure in un’area esterna ad essa) con una condotta imprevedibile ed anomala, incorrendo in una manifesta illogicità e mal governando l’interpretazione della presunzione ex articolo 2054, primo comma, c.c. (cfr. da ultimo la già citata Cass. sez. 3, 4 febbraio 2016 n. 2173, che per un’ipotesi di veicolo fermo sulla sede stradale – in tal caso per incidente, ma la regola è ovviamente comune alla fattispecie in esame – afferma che i conducenti dei veicoli devono tenere un comportamento improntato alla massima prudenza, non costituendo circostanza assolutamente imprevedibile, ma anzi al contrario rientrando nella ragionevole prevedibilità, la presenza sulla strada di chi aveva occupato tale vettura).

Come pure è illogico (anche questo si è già rilevato) affermare che il camionista non poteva avvistare il pedone in un contesto in cui si afferma che il pedone poteva addirittura prevedere le manovre dei camionista, nonostante i problemi di visibilità attestati anche dai carabinieri e nonostante la condotta repentina dei camionista che non può non evincersi dalla testimonianza B..
E come per sedare un ultimo dubbio la corte territoriale poi conclude con una frase attinente prevalentemente proprio alla condotta dei camionista: “L’appellante, solo per propria responsabilità, si è attardato sulla traiettoria del veicolo, il quale procedeva regolarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza incidenti con nesso di causalità sul sinistro”. Per quanto concerne il pedone, è difficile comprendere come possa essersi scorrettamente “attardato” sulla traiettoria del camion, visto quanto meno che era appoggiato ad un veicolo che a sua volta è stato danneggiato, ma il cui danneggiamento secondo la corte territoriale è stato un fatto neutro. Ma soprattutto, per quanto concerne il conducente del camion, questa frase – che è l’unica direttamente attinente, si ripete, alla sua eventuale (cor)responsibilità – non fornisce una motivazione sufficientemente specifica, bensì consiste in un mero asserto generico di assoluta perfezione della sua condotta di guida, senza indicare sulla base di quali elementi probatori e di quali logici argomenti sia stato così pienamente superato il dettato presuntivo dell’articolo 2054, primo comma, c.c. nel caso in esame.
Risulta dunque che la sentenza impugnata è incorsa nella violazione dell’articolo 2054, primo comma, c.c., e che, inoltre, ha ricostruito la dinamica dei sinistro con una motivazione incorsa in manifeste illogicità in relazione ad elementi tutt’altro che irrilevanti. Deve pertanto accogliersi il ricorso, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla corte territoriale in diversa composizione, rimettendo ad essa anche la decisione sulle spese dei grado di legittimità.
P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, cui si rimette anche la decisione sulle spese dei grado di legittimità.
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